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La mia famiglia coltiva la musica da oltre un secolo ed è stata determinante per la mia formazione umana e artistica. Devo quindi parlarne poiché se non lo facessi mi sentirei in colpa verso coloro che di questa arte hanno fatto una compagna di vita e ne sono stati protagonisti. Il mio scritto sarà quindi un compendio di storia famigliare e curriculum personale che racconto in prima persona. Inoltre mi piacerebbe che possa essere un messaggio ai giovani, con la speranza che venga recepito e accolto benevolmente e che sia di aiuto nelle scelte della loro vita e nell'arte. Che altro potrebbe rappresentare per me tenere un sito come musicista e fisarmonicista? Non ho l'età né l'ambizione per migliorare la mia professionalità. Ho fatto tutto ciò che potevo e mi basta. La musica mi ha dato tanto. Oggi ancor di più la vivo in modo sensitivo e ciò è stupendo, ma anche sconvolgente. Ho insegnato a scuola a migliaia di ragazzi, nove classi ogni anno per 33 anni. Molti di loro - qualcuno non più giovanissimo - quando mi incontrano per strada mi chiedono il permesso di abbracciarmi e mi ringraziano, in quei momenti provo sempre la stessa commozione che mi procura la musica.
Mio nonno Giovanni Forgini (1874 – 1952) era nato a Rieti. Fu un ottimo violinista, di lui mi sono rimasti molti manoscritti di musica e due violini che conservo come reliquie in una vetrinetta nell'ingresso di casa mia .
Quando ero ragazzo ricordo che nell'ambiente musicale reatino di allora si narrava una storia risalente agli anni 1893-94. Mio nonno era allora un ventenne e conobbe un soldato che stava svolgendo il servizio di leva a Rieti. Questo giovane napoletano era nato nel 1873. Appassionato di musica incontrò mio nonno violinista e chitarrista e insieme nelle ore di libera uscita facevano musica dilettando i reatini che come si narra in quell'epoca ne erano veri intenditori. Era il periodo del verismo e sicuramente si saranno dilettati con le arie composte dai grandi musicisti dell'epoca: Puccini, Mascagni ecc. e con le belle canzoni di Napoli. Quel giovane soldato si chiamava Enrico Caruso. Divenne il più grande tenore del mondo. Svolse la maggior parte della sua attività al Metropolitan di New York; molti ritengono che non sia stato mai superato.
La moglie di mio nonno Giovannina Matricardi, mia nonna, e la di lei madre appartenevano ad una famiglia gentilizia di Rieti e come si usava in quell'epoca avevano studiato con passione il pianoforte . Ebbero sei figli, tre maschi e tre femmine. Il primo – Leonida - morì nella prima guerra mondiale, gli altri due maschi, mio padre Antonio (1905 – 1968) e mio zio Arnaldo (Nando, 1914 – 1997) mostrarono sin da bambini una notevole disposizione musicale. Mio padre studiò il pianoforte, la chitarra e il mandolino e da adolescente insieme ad un suo coetaneo violinista, Ottorino Stefanucci futuro maestro di scuola elementare, suonavano nei cinema il commento musicale ai film muti.
Intorno al 1925 mio nonno e tutta la sua famiglia compreso mio padre per una incompatibilità reciproca con il regime dovette trasferirsi a Foligno dove io nacqui il 3 maggio 1931. Combinazione: Tre anni prima vi era nato anche Luciano Fancelli. Mio nonno per quella sua posizione politica che mantenne per tutta la sua vita, da imprenditore benestante che era, attraverso boicottaggi e persecuzioni varie fu ridotto a vivere facendo lezioni di violino e della pensione di guerra irrisoria di suo figlio Leonida morto nella guerra 1915/18. Tutto quello creò un grande scompiglio alla mia famiglia e successivamente causò i vari cambi di residenza (Rieti-Foligno-Terni-Rieti). Per fortuna avemmo tutti il conforto della musica.
Mio padre da vero talento musicale era diventato un autentico virtuoso di chitarra, banjo e mandolino. Per quanto riguarda me ancora bambino, la musica che ascoltavo per ore tutti i giorni mi procurava emozioni che non mi sapevo spiegare; certe volte arrivavo anche a piangere. Mia madre allarmata voleva sapere perché piangevo, ma non ero in grado di dare nessuna risposta. Mio padre carezzandomi mi diceva che certa musica a qualcuno può procurare quell'effetto e che da grande avrei saputo spiegarmelo. Vissi quindi in un ambiente che mi consentì di affinare sempre più il mio gusto musicale.
Per vicissitudini varie andammo ad abitare prima a Terni, dove mio padre svolse una buona attività musicale anche suonando stabilmente con la famosa orchestra del maestro Bardea il banjo e la chitarra, in seguito nel 1938 a Rieti, e fu in quel periodo che decise di imparare la fisarmonica e da vero talento riuscì a suonarla bene in pochissimo tempo – ebbe subito molti allievi. Trascrisse per tre fisarmoniche brani del melodramma italiano, formò un trio e con esso partecipò ad un concorso nazionale di fisarmonica a Macerata. Si classificarono primi e come potete leggere sulla didascalia della foto la Scandalli regalò a mio padre una fiammante fisarmonica, e volendo fare ancora riferimento alla genetica famigliare nella seguente foto compaiono oltre al trio di fisarmoniche due bambini seduti che siamo io e mia sorella Gianna che a sei anni vinse l’ora del dilettante al Teatro Flavio Vespasiano cantando una canzone in dialetto ternano La Cocommerara; siamo insieme alle belle ragazze reatine in costume sabinese. Nel 1940 l'Italia entrò nella seconda guerra mondiale, ma papà anche per una questione di necessità (lo stabilimento ORLA di Rieti dove lavorava prima che terminasse la guerra chiuse poiché fabbricava apparecchiature per gli aeroplani) continuò la sua attività musicale e sempre con grande successo, era apprezzatissimo da tutta l'opinione pubblica e negli ambienti musicali di Rieti, Terni e Foligno dove aveva spesso l'opportunità di suonare. Oltre al gruppo di fisarmonicisti formò un complesso: lui alla fisarmonica, tromba, sax, batteria e cantante. Feste da ballo, veglioni, manifestazioni musicali varie – lui era sempre il protagonista numero uno, come viene documentato in un libro su Rieti Ribalte e Vicoli, dal noto scrittore e giornalista Aimone Milli, che parla di mio padre e della sua orchestra da pagina 111 a pagina 116 e riferisce queste parole degli orchestrali dell'epoca: Quando dovevamo andare a suonare nei paesi certe volte ci dovevamo andare in bicicletta e così per chilometri e chilometri. Le strade erano bianche e uscivamo distrutti ma contenti: la gente ci dava soddisfazione, ci sapeva apprezzare. Aimone chiude con il seguente commento: Sì, c'erano tre belle orchestre a Rieti, ognuna bella a modo suo, anche se quella di Forgini ha segnato quel tempo più di altre.
Successivamente anche lo scrittore Antonio Cipolloni, autore del libro La Montagna di Roma, ricorda l'orchestra Forgini in due occasioni: Nella prima c'ero io alla batteria e papà alla fisarmonica, nella seconda io alla fisarmonica e papà alla chitarra.
Per qualche anno mio padre svolse sempre un'attività molto intensa, ma nel 1945 rimase senza batterista e non sapendo come rimediare mi disse: caro Leonida, devi imparare a suonare la batteria. Acquistò una grancassa, due tamburi, un piatto e un charleston, bacchette e spazzole. Per qualche giorno non facemmo altro che suonare, io e lui, e imparai i ritmi delle varie danze. Divenni presto un batterista di buon livello.
Intanto iniziai l'istituto tecnico commerciale, ma i programmi scolastici non mi interessavano molto, preferivo dedicarmi anima e corpo all'ascolto di musica e alla lettura, due attività che non mi sono mai fatte mancare fino ad oggi.
In quegli anni leggevo moltissimo, il mio scrittore preferito fu sempre Dostojevski, ma amavo anche Shakespeare, Tolstoj, Oscar Wilde, Edgar Allan Poe e altri grandi. Amavo ascoltare prevalentemente dischi di musica classica e di jazz. Quando nel nostro magnifico teatro Flavio Vespasiano davano opere liriche e concerti non mancavamo mai.
Durante la seconda guerra mondiale la famiglia di mio nonno era rimasta a Foligno e mio zio Nando fu richiamato alle armi e al fronte si ammalò; da allora fu sempre un po' cagionevole di salute. Ma fu per tutta la vita gratificato dalla musica, dalla chitarra e dal mandolino di cui era virtuoso. Anche lui come noi prediliggeva la musica jazz e anche lui ne fu un precursore in Italia. Il suo idolo, famoso chitarrista jazz belga, era Django Reinhardt, virtuoso di questo strumento nonostante l'invalidità di due dita della mano sinistra.
Nel 1945 abitava a Foligno anche la famiglia di Enrico Fancelli, violinista e sassofonista, sua moglie Luigia Barbi, ottima pianista, e il loro unico figlio Luciano. Mio zio, grande amico di questa famiglia, suonò la chitarra con loro per tutto il tempo che rimasero a Foligno. Il giovane Luciano era già il bravo fisarmonicista che sarebbe diventato in seguito famoso in tutto il mondo, anche per le sue squisite e originali composizioni per fisarmonica.
Intanto continuai a suonare la batteria nell'orchestra di mio padre. Ma un giorno volendomi esibire in un particolare virtuosismo acrobatico con le spazzole cercando di imitare i grandi batteristi americani ne lanciai una in aria che ricadendo mi ferì in un occhio. All'ospedale di Rieti in quell'epoca non c'era ancora il reparto oculistico e mi consigliarono di recarmi all'ospedale di Terni. Il giorno dopo mio padre mi ci accompagnò e l'oculista mi rassicurò: non era successo nulla di grave.
A quel punto papà mi chiese: “Ti piacerebbe sentire un bravissimo fisarmonicista?” Io risposi: “Suona meglio di te?” E mio padre di rimando: “Vuoi scherzare?” Andammo a casa della famiglia Fancelli che ormai risiedeva a Terni. Papà ne era rimasto sempre amico. Conobbi Luciano, aveva solo tre anni più di me. Papà gli chiese se ci faceva sentire qualcosa con la fisarmonica e lui molto cortesemente acconsentì. Ascoltandolo rimasi letteralmente folgorato. Non avrei mai immaginato che si potesse suonare in quel modo. Attraverso la sua tecnica prodigiosa e l'interpretazione egli esprimeva poeticamente la musica e questo era per me struggente. Il suo modo di essere esprimeva inoltre un carattere sincero, spontaneo, semplice e buono, tipico dei grandi artisti e totalmente agli antipodi dei mediocri che hanno la necessità di crearsi (con la loro boria) una maschera di sussiego e superiorità. Ebbi l'impressione di trovarmi in un altro mondo. Papà e i genitori di Luciano si accorsero di questo mio stato d'animo. Allora papà mi disse: Ti piacerebbe studiare la fisarmonica se Luciano te lo insegna? Come se sognassi risposi: Magari. Papà lo chiese a Luciano che rispose: Volentieri, ma prima vorrei fare con Leonida una certa prova. Si avvicinò al pianoforte e suonò degli accordi dicendomi per ognuno di essi quello che era maggiore e quello che era minore. Ascoltando gli accordi che suonò in seguito voltato dall'altra parte del pianoforte dovevo riconoscere se ognuno di essi era maggiore o minore suonati allo stato fondamentale o rivolti, e io seppi dare la risposta giusta su tutti. Alla fine disse che avendo constatato il mio orecchio musicale era contento di avermi come suo allievo. Iniziai così quasi a 18 anni a studiare questo strumento che non avevo mai neanche toccato.
Fancelli vinse nei giorni 8-9 ottobre 1949 il primo premio al Primo Festival Internazionale della Fisarmonica a Stradella (Pavia).
Andavo a Terni a lezione da Luciano una volta alla settimana. Studiavo molte ore al giorno animato da una grande passione e riuscii entro breve tempo ad ottenere buoni risultati. Divenni presto l'allievo prediletto di Luciano.
Il 30 marzo 1950 vinsi un concorso provinciale a Rieti e nello stesso anno partecipai al mio primo concorso nazionale che si tenne ad Ancona (30 settembre) classificandomi al sedicesimo posto; il primo assoluto fu Luciano Fancelli. In quell'epoca i concorsi nazionali erano diversi da quelli di oggi. C'erano i pezzi d'obbligo per tutte le categorie e non vi erano tanti primi, tanti secondi, tanti terzi...
A quel punto avevo raggiunto un buon grado di preparazione che mi permise di sostituire mio padre alla fisarmonica, e lui non ebbe nessuna difficoltà a tornare alla chitarra. Il nostro complesso suonava musica di tutti i generi e in varie occasioni prediligendo sempre il jazz che allora era danzabile e scegliendo nel nostro repertorio musicisti americani come Gershwin, Kern, Berlin, Glenn Miller Duke Ellington e altri. Papà suonò con passione fino all'anno 1968 quando venne a mancare, compianto da tutti e da tutti per sempre ancora ricordato.
Continuai a studiare con sempre maggiore impegno e partecipai ad Ancona il 30/9/1951 al mio secondo Concorso Nazionale nella categoria A solisti. Risultò primo classificato con punti 8.91 Cesarino Vaia di Mantova, secondo Pino Di Modugno di Bari con punti 8.49, terzo il sottoscritto con punti 8.39. I primi tre di ogni categoria si esibirono al concerto finale. Fui premiato con diploma e lire 10.000 che in quell'epoca erano un vero tesoro. Ovviamente il mio entusiasmo fu immenso e altrettanto quello del mio maestro.
Incoraggiato da tanto inaspettato successo aumentai ancora le ore di studio e iniziai ad esibirmi come solista in vari concerti. Suonavo pezzi abbastanza impegnativi: le sinfonie di Rossini, la Norma di Bellini e pezzi originali da concerto per fisarmonica solista compresi quelli di Fancelli.
Durante le lezioni Fancelli mi chiedeva spesso amichevolmente un parere sulle sue composizioni. Quando compose “Ciri” prima di farmelo ascoltare mi disse testualmente: “Leò, finalmente ho composto un pezzo con accordi di cinque note per la mano destra.” Luciano si andava sempre più affermando, iniziò a suonare alla Rai una volta alla settimana intitolando la sua trasmissione radiofonica “L'angolino romantico”. Lo accompagnavano due famosi musicisti della Rai, Canapino e Vinciguerra, rispettivamente contrabasso e batteria. Fu con questo trio che realizzò l'unico disco 45 giri che ebbe l'opportunità di fare. Purtroppo in quell'epoca le registrazioni erano rispetto ad oggi molto scadenti.
Luciano faceva concerti solistici e suonava con una buona orchestra jazz di Terni. Volendo fare un duo con me trascrisse per due fisarmoniche la sinfonia “Jupiter” di Mozart, la “Rapsodia in blu” di Gershwin, la “Danza del fuoco” di De Falla, “Danza d'Anitra” dal “Peer Gynt” di Grieg e sempre dalla stessa opera per fisarmonica solista “Morte d'Ase”, un brano di cui mi innamorai perdutamente e che per tanto tempo ho desiderato suonare, ma non ero mai riuscito a trovarne lo spartito. Solo un anno fa ho potuto avere la partitura del “Peer Gynt” e ho fatto una elaborazione per fisarmonica di “Morte d'Ase”. Mi ha dato tanta nostalgia, ma anche tanta gioia.
Purtroppo la realizzazione del duo fu impossibile poiché poco dopo Luciano si ammalò e dopo solo 24 giorni morì. Per me fu una perdita incommensurabile. Avendo con lui grandi affinità musicali e una grande amicizia la sua mancanza mi bloccò al punto tale che per alcuni mesi non potei più toccare la fisarmonica. Quando la ripresi, dopo poche battute di “Acquerelli cubani” dovetti smettere – la fisarmonica era inondata di lacrime.